Lieven Loots ci racconta il suo Gea Bike Trail 2018
Il GeaBikeTrail (Grande Escursione Appenninica in MTB), ideato da Samuele Baldinotti, ripercorre il crinale Appenninico da San Sepolcro in provincia di Arezzo, fino a Monterosso al Mare nelle Cinque Terre.
Con i suoi numeri notevoli (600km, 22.000 m di dislivello, 90 % fuoristrada) mi sembrava l’occasione ideale per fare un primo Trail in Mtb fuori dalla mia Sardegna e vedere un po’ di posti nuovi.
Mi iscrivo nel primo giorno utile – il primo gennaio 2018 – e comincio la lunga attesa fino alla partenza prevista a fine giugno. Nel frattempo pedalo i miei soliti km, prendo parte in un Trail locale (220 km per 5000 m di dislivello, chiuso in 23 ore) e acquisto la poca attrezzatura che mi manca per affrontare questa avventura per me nuova.
Decido di percorrere il trail in totale autonomia, portandomi dietro tenda, materassino, sacco a pelo e fornellino, oltre all’abbigliamento necessario non solo per pedalare, ma anche per stare comodo in tenda a quote ben oltre i 1000 m slm. A questo si aggiungono attrezzi, ricambi, una macchina fotografica semi-professionale, Gps, batterie di ricambio, il più e il meno.
Due giorni prima della partenza mi imbarco sul traghetto da Cagliari a Civitavecchia da dove raggiungo Arezzo in treno e San Sepolcro in bici. Si parte!
Testo e foto di Lieven Loots
GIORNO 1 | Pian della Capanna (San Sepolcro) – Aia di Dorina : 104 km, + 3294 m
06.45, suona la sveglia. Stamattina approfitto del fatto che ho dormito in rifugio e faccio la mia ultima ‘vera’ colazione per i prossimi 6 giorni. Alle 08.00 Alfonso, Davide ed io, i tre moschettieri della prima partenza di gruppo del GeaBikeTrail 2018, siamo pronti per partire.
Si parte leggermente in salita, poi corriamo giù per il bivio con la strada asfaltata per il passo Via Maggio. Mi fermo per scattare due foto e perdo subito Davide ed Alfonso. Nei prossimi giorni ci risentiremo soltanto su Whatsapp, con Davide, che chiuderà il trail con quasi due giorni di anticipo, ed Alfonso,che arriverà un giorno prima di me.
Ed è giusto così, questo è il mio trail, il mio ritmo, il mio viaggio. Questi sono i miei pensieri, i miei occhi, le mie foto. Foto della mia bici solitaria, ferma in un bosco, lungo un lago, su un sentiero, in cima ad un monte. Tornerò a casa e rivedrò le mie foto e mi renderò conto che sono stato nella No Man’s Land. La terra del viaggiatore solitario.
In tarda mattinata guadagno con fatica il Santuario della Verna, il sentiero che corre lungo il crinale ripaga ampiamente il sudore versato.
Le soste per fare le foto si fanno più frequenti, mi aiutano a rallentare il passo, a guardarmi meglio intorno, ad assaporare il presente e non correre all’impazzata con lo sguardo fisso sul traguardo. Scendo dal crinale, trovo refrigerio vicino ad una fontana freschissima la quale sicuramente dev’essere abitata da una giovane ninfa, tant’è che più tardi lungo la strada per Badia Prataglia mi fermo per scambiare due parole con un vecchio satiro che monta su una vecchia Gilera.
La spesa per la cena la faccio in paese prima di cominciare a salire in un bosco da fauni dove mi fermo in località Aia di Dorina per la notte. Monto la tenda, accendo il fornellino, mi lavo quel poco che basta. La notte mi avvolge.
GIORNO 2 | Aia di Dorina – Poggio dei Ronchi : 182 km, + 5363 m
Stamattina la sveglia non serve, ci pensa il sole ad aprirmi gli occhi. Dopo aver riparato uno strappo in una delle sacche stagne che porto sugli steli della forcella anteriore con due adesivi “GEABIKETRAIL” (gentilmente forniti da Samuele alla partenza), riprendo il mio viaggio.
Pedalo su ampia sterrata, strada asfaltata e single track roccioso fine a raggiungere Monte Falco. Le gambe si fanno sentire dopo ieri e mi vedo costretto a scendere dalla bici e camminare per lunghi tratti.
Benedico le mie scarpe con collo alto e suola adatta a terreni impervi, e maledico me stesso per averle comprate poche settimane prima e non averle rodate abbastanza prima di questo trail. Sono strette e cominciano a farmi male i piedi. Anche in tali condizioni nei prossimi giorni queste scarpe si riveleranno essere tra la mia attrezzatura più utile.
Il sentiero mi porta al Passo del Muraglione, sul confine tra la Toscana e L’Emilia Romagna. Avete mai visto una bici annaspare in mezzo a duecento moto? Avevo già dimenticato che oggi è domenica, giorno di uscita dei centauri gommati. Ci vuole veramente poco per perdere conto del tempo, per perdersi nel susseguire di sera, notte, mattina, mezzogiorno, pomeriggio, sera, notte, mattina, … senza tener traccia del giorno stesso.
Oggi si pranza tardi, in un piccolo ristorantino, anch’esso pieno di motociclisti e delle loro mogli, per di più ubriachi e molto rumorosi. Fa caldo ora, e il sentiero esposto di certo non aiuta a tenere sotto controllo la mia temperatura corporea. So che devo stare attento a non prendere colpi di sole, e così Marradì diventa il luogo ideale per un gelato enorme panna e cioccolata. Non cambia il fatto che la risalita dal paese al Passo della Colla – tra l’altro pedalabilissima – sia micidiale.
Oltre al caldo ci si mette anche il vento contro! Dopo il passo si continua a salire, ma ormai il sole si nasconde dietro al crinale ed entro di nuovo nel bosco. Dopo aver scartato alcuni potenziali location per la notte, trovo una piccola area picnic con panca e tavolino dove montare la tenda. Stasera si cena comodamente seduto.
GIORNO 3 | Poggio dei Ronchi – Monte di Granaglione : 268 km, + 7988 m
Stasera non sono contento. Il percorso di questo trail non mi piace. Si sale sul crinale, si pedala sul crinale, si scende dal crinale. Ripeti. Si sale sul crinale, si pedala sul crinale, si scende dal crinale. Ripeti. La mia bici con tutte le sue borse pesa troppo. Volevo fare questo trail in totale autosufficienza, Messner mica dormiva in albergo quando percorreva la Grande Escursione Appenninica allenandosi per i suoi ottomila? Ora ne pago le spese. I piedi mi fanno male. Fa troppo caldo. Prima c’è troppo asfalto, poi ci sono troppo single da fare spingendo e trascinandomi dietro la bici.
Dormendo in tenda uno si alza all’alba e può pedalare fino al tramonto. Ti da una libertà senza uguali. E così impari a tue spese che alle 07.30 il bar al Passo Giogio non è ancora aperto. Continuo perciò sulla sterrata fino ad arrivare ad una scritta ‘fine difficoltà’. Peccato che la freccia accanto punti nella direzione sbagliata. Seguono 400 m con un dislivello di 125 m su per un sentiero ripidissimo.
È il primo, ma non l’ultimo e sicuramente non il più difficile dei portage di questo trail. Il single track in cresta invece è pedalabile, si passa soltanto con le gambe scoperte in mezzo ad una distesa di ortiche. Il sangue scorre forte nelle vene. Direi che mancano soltanto un po’ di guai meccanici per completare il quadro … ed ecco puntualmente si incastra la catena tra i pignoni e i raggi della ruota posteriore.
Giù con le bestemmie! Avevo già detto che quest’oggi non mi sto divertendo un granchè? Una bella discesa su sterrato, fortunatamente non troppo tecnico visto che non ne sono in vena, porta fino al borgo di L’Apparita dove un’apparizione sotto forma di gentile vecchietta mi riempie la borraccia con acqua fresca e il cuore con nuove speranze.
Da l’Apparita guadagno il Passo della Futa e scendo a Montepiano. La risalita, sotto il sole, è di nuovo micidiale. Anche se non molto ripida mi trovo a salire camminando e spingendo la bici.
Arrivato al lago di Suveria, mi ritrovo su un single track lungo il lago il quale di pedalabile c’è ben poco. Non so dove si trova Samuele ma di sicuro gli fischiano le orecchie! La ripida salita che da Poretta Terme porta a Granaglione in tardo pomeriggio per fortuna si trova quasi interamente in ombra, ma comunque non mi diverte. Trovo finalmente il fresco a poco più di 1070 m slm in una piccola radura sotto gli abeti dove monto la tenda, mi cucino la cena e riposo corpo e anima durante la notte.
Il giorni dopo ritroverò la calma e l’equilibrio necessario per portare a termine il mio cammino solitario. Mi renderò conto che il mio viaggio fisico deve andare di pari passo con il mio viaggio mentale. Capirò che non posso correre veloce se prima non rallento e mi fermo. Questo sarà il momento decisivo del mio trail.
GIORNO 4 | Monte di Granaglione – rifugio Lago Nero : 326 km, + 10289 m
Sarà un caso che oggi parto in salita? – in tutti i sensi. Dal mio posteggio seguo prima una comoda sterrata, poi un sentiero nel bosco che mi porta sotto il Passo dello Strofinatoio.
Qui mi aspetta il tratto più duro di tutto il trail, il portage di diverse centinaia di metri su per un sentiero che sembra salire in cielo, e del quale per colpa della – o grazie alla – nebbia non vedo la fine. Non riesco nemmeno a caricarmi la bici sulle spalle per quanto pesa e salgo a passo lento – quasi a ritmo di battito cardiaco: un passo, su la bici, un passo, su la bici, un passo, su la bici. Fisicamente questo tratto è durissimo – anche se reso più agevole dalla temperatura piacevolmente fresca – ma mentalmente mi sento tranquillo. Lo sguardo fisso sui primi metri di sentiero da salire, il paesaggio assente perché avvolto nella nebbia, la ritmica di respiro, passo, battito e bici mi focalizza la mente e libera i pensieri.
Entro nella stessa ‘trance’ che ritrovo ogni volta che pedalo nel buio durante le uscite lunghe – interrotto soltanto dallo scambio di due parole con un escursionista che scende il sentiero. Arrivo sul passo e imbocco la discesa per il Lago Scaffaiolo dove trovo sempre una fitta nebbia, mi chiedo come faranno i ragazzi che qui stanno seguendo un corso di orienteering a trovare la strada corretta.
Con la visibilità sempre ridotta a 20 m inforco il sentiero che corre lungo il crinale verso l’Abetone. Arrivato vicino ad un impianto antennistico, scendo sulla sinistra giù per una sterrata lunga e veloce la quale mi porta prima a Doganaccia, poi al borgo di Cutigliano dove pranzo con pane, formaggio e frutta fresca.
Ora si ripete quanto già vissuto nei ultimi giorni, si risale in montagna su una strada ripida, prima asfaltata, poi sterrata. Questa volta però non mi sale la rabbia alla gola, invece mi ci arrampico con passo costante. A metà strada trovo un campo semi-abbandonato di lamponi vicino ad un vecchio casolare. Ne mangio due (rigorosamente dai rami che sporgono oltre la recinzione) e continuo ora su una sterrata meno ripida che mi porterà sull’Abetone.
Sono quasi le 17.00 quando arrivo sotto il sentiero che porta al Lago Nero. Decido di salirci e visto che dal lago si salirebbe ancora e poi si rimane per parecchi km in quota sui 1600-1800 m slm, mi fermerò al rifugio del Lago Nero a dormire. Una doccia, una cena calda e un letto vero credo di essermeli meritati oggi. La salita al Lago Nero si rivela dura, con anche poco portage alla fine, ma breve. Rifiato e scendo al rifugio il quale … è chiuso! Decido di fermarmi comunque qua, anche se avrei alltre 3 ore di luce. In un angolo del rifugio c’è un bivacco invernale sempre aperto con dentro due letti a castello, sarà la mia reggia per stanotte.
Aprofitto della rimanente luce del giorno per fare un controllo alla bici e cambiare i pattini del freno anteriore. Quando gli ultimi raggi di luce scendono dietro i monti mi metto a letto, punto la sveglia per le 5.30, domani voglio recuperare un po’ del tempo che ho perso, anche se forse l’ho speso nel modo migliore.
L’arrivo al Lago Nero mi riserva una sorpresa. Il rifugio è chiuso, avvolto in un greve silenzio che parla di tante notti estive stellate e altretante notti invernali buie vissute con sguardo impassibile. Non c’è nessuno in vista, il lago stesso mi osserva silenziosamente, le creste avvolgono questo piccolo anfiteatro montuoso in un tenero abbraccio, la calda luce del sole tramonta sopra le acque non sorprendentemente nere del lago. La pace che emana questo posto è magica.
GIORNO 5 | Rifugio Lago Nero – Monte Cunella : 424 km, + 12933 m
Dopo aver lasciato il Lago Nero alle 6.15 di mattina mi ritrovo a pedalare, e camminare, lungo il crinale che porta allo spettacolare paesaggio del Passo Annibale e i suoi impianti sciistici. Mentre alla partenza i deboli raggi del primo sole del mattina mi accarezzavano il viso, ora il cielo si sta riempendo di una coltre di nuvole nere che non promettono niente di buono. Raggiungo la sterrata che scende a valle quando sotto il sordo rumore dei primi tuoni, le prime gocce di pioggia cominciano a cadere.
Con un po’ di fortuna arrivo nel paese di Faidello prima della tempesta, dove mi rifugio nell’unico bar aperto, mentre fuori viene giù la fine del mondo. Costretto ad una pausa più lunga del previsto parlo con i locali e mi informo sul percorso che mi aspetta nella salita al Lago Santo. Viste le intemperie decido di saltare il passaggio al lago, scendendo invece a valle al paese di Pievepelago e di salire da là al Passo della Radice dove ritroverò la mia traccia.
Non sono estraneo a pedalare sotto la pioggia. Mi piace sentirmi il viso bagnato, il rumore della pioggia che cade sugli alberi, lo schizzare dell’acqua quando si passa nelle pozzanghere. Non sono estraneo a trovarmi in posti lontani, luoghi deserti in sella alla mia bici, da solo. Lo preferisco e vivendo in Sardegna, spesso esco da solo in bici. Però ora sono in giro da solo, con una bici stracarica, dovrei passare su sentieri sconosciuti, su rocce calcaree scivolose. Un po’ di ansia mi viene, un po’ di paura mi assale. E decido di non seguire il percorso del trail, ma di scendere a valle e risalire su asfalto per riguadagnare la traccia. Sbaglio? Non credo. L’unica decisione sbagliata durante un trail è quella dove alla fine uno si fa male.
Dal Passo delle Radici una bellissima sterrata porta al Rifugio Segheria e poi al Passo Lama Lite. È di nuovo uscito il sole e dei favolosi paesaggi mi accompagnano al Rifugio Bargetana dove mi fermo per una breve sosta. Continuo la discesa passando accanto ad un laghetto, arrivando in un piccolo paese del nome dimenticato, dove mi lavo i capelli sotto il getto d’acqua di una fontana ghiacciata.
Bello rinfrescato salgo il Passo Pradarena, micidiale per le sue pendenze, da dove poi arrivo al Lago Cerreto. Sono le 18.30. Decido di fermarmi in un albergo-ristorante per cena, dopo di che tiro avanti fin quando il sole non tramonta e trovo un posto per la mia tenda poco dopo Sassalbo. Mi addormento in un alpeggio con vista sul Monte Cunella, circondato da cavalli allo stato brado e cullato dai campanacci delle mucche.
GIORNO 6 | Monte Cunella – rifugio Zum Zeri : 528 km, + 16265 m
Al risveglio stamattina mi ritrovo inavvertitamente a fare la doccia sotto le gocce di rugiada che mi piovono in testa uscendo dalla tenda. L’umido che è sceso di notte ha avvolto tutto in uno spesso strato di condensa.
La dry bag nella quale tengo la tenda appesa al manubrio è diventata una wet bag e per gran parte della mattina mi porterò dietro un chilo di peso in più. Metterò ad asciugare la tenda al sole più tardi durante una breve sosta.
Lascio il mio bivacco notturno con vista sulla Cunella – ora avvolta nelle nubi basse – e scendo giù al paese di Albenga dove faccio una veloce colazione al bar.
Il prossimo passo mi dovrebbe portare a quasi 1600 m slm, meglio non tardare troppo. Arriverò però soltanto a 1200 m slm scarsi prima che la strada cominci a scendere di nuovo. Forse avrei dovuto studiarmi meglio la traccia prima della partenza 6 giorni fa, ma poi a chi interessa dove si sta andando se porta con se casa e cucina? Dopo una seconda sosta – e colazione – a Rigoso, salgo deciso su per il Passo della Colla. Dopo aver rifiatato in cima imbocco la discesa che mi porta al rifugio Lagoni dove mi fermo per mangiare.
Ordino primo, secondo e contorno, forse esagerando visto che partirò con mezza salsiccia e della polenta nella doggy bag. Mi torneranno utili diverse ore dopo, sull’ ultima salita del giorno. Dal rifugio mancano 55 km per il rifugio Zum Zeri, l’ultima sosta notturna prevista prima di arrivare a Monterosso.
Mi chiedo se posso farcela, avrei proprio voglia di mangiare una cena con i fiocchi, di farmi una doccia bollente – la prima in una settimana – e di dormire in un letto vero.
Il barista e i suoi tre clienti abituali mi guardano con espressione dubbiosa. Il barista punta il dito alla mappa appesa al muro e fa:
– “Ma, se devi andare a Zum Zeri, perché risaleresti il Passo di Giogo? E’ molto più semplice girare di qua e vedi poi si va dritto là, passi di qui e saresti già arrivato.”
– “Si, si, ma sai, mi hanno dato questa traccia e l’idea è di seguirla per arrivarci, sai, farò le sterrate e i sentieri, fa parte del gioco.”
– “Ah, se vuoi giocare, beato te che hai il tempo per farlo.”
In effetti il bike packing è un passatempo di lusso. Perchè a pensarci bene, chi riesce a smettere di correre certamente deve aver trovato il lusso del tempo.
Riparto dal rifugio e scendo a Lagdei dopo di chè la strada sale di nuovo. Qui mi ritrovo su un mix di sterrata e single track che corrono in un ambiente spettacolare, forse il più bel tratto di tutto il trail. Sento Samuele via Whatsapp e gli chiedo di prenotarmi un posto per la notte al rifugio Zum Zeri, ormai manca solo il Passo Cisa e ce l’ho fatta.
Povero illuso! Dal Cisa si scende, e si scende, e si scende ancora per arrivare a 370 m slm, per poi risalire e risalire e risalire, prima su asfalto ripidissimo, poi su sterrata e sentiero fino a 1300 m slm! Qui mi salvano per prima il mio doggy bag con salsiccia e polenta e poi, più in alto, dei lamponi selvatici che crescono lungo il sentiero. Per finire in bellezza l’ultimo tratto mi costringe a spingere su la bici, ormai con il buio che incombe.
Monto il faretto sul casco e mi tuffo giù in un bosco dove non so chi si spaventa di più, i cinghiali che si vedono costretti a schivare il biker che scende all’impazzata, o il biker che deve schivare i cinghiali che schizzano via in tutte le direzioni.
Quando arrivo al rifugio ormai è buio pesto. Dopo una cena abbondante mi infilo sotto la doccia e mi lavo via una settimana di sporco e fatica. Rimango sommerso sotto l’acqua calda fin quando non finisce il contenuto dello scaldabagno.
GIORNO 7 | Rifugio Zum Zeri – Monterosso sul mare : 584 km, + 17149 m
Mancano solo 60 km per arrivare a Monterosso al Mare da Zum Zeri, e saranno tutti in discesa – vero? Allora mi alzo alle 7.30 soltanto e faccio colazione con molta calma. Per dire il vero, il trail sembra già finito.
Dal rifugio scendo sulla strada principale per un po’, poi si svolta a destra e comincia una dolce ascesa che mi porta di nuovo oltre i 1200 m slm. Meno male che era tutta discesa oggi.
A Borghetto Varca mi fermo al bar per uno snack, e anche qui la bici in assetto da bikepacking attira subito l’attenzione. Almeno ora posso raccontare ai miei interlocutori che sono quasi arrivato a destinazione. Un’ultima salita dopo il paese mi porta su una sterrata immersa tra i pini.
Sui tratti più ripidi scendo dalla bici e camino piano piano, fermandomi spesso non perché sono stanco, ma perché mi sto rendendo conto che il mio viaggio ormai è quasi finito e forse, ma dico forse, non voglio che finisca già.
Mentre mi avvio sull’ultima salita del trail, dal plumbeo cielo dell’entroterra risuonano dei sordi tuoni. Saranno le anime perdute del crinale appenninico a salutarmi? Subito dopo mi supera un’anziana signora in macchina, suonando il clacson ad ogni curva. Chi sapeva che le anime perdute guidano una vecchia Nissan Micra celeste?
Testo e foto di Lieven Loots