Abbiamo parlato con Serena Cugno di My Family Bike di viaggi in bici con tutta la famiglia, come organizzarsi e anche del perché mondo gravel e bikepacking ci siano ancora poche ragazze.
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Bikepacking.it: Oggi siamo con Serena di My Family Bike, per parlare del suo percorso da cicloviaggiatrice, di Liv, e di una cosa che sta molto a cuore a noi di Bikepacking.it, ma penso a tutta la community: perché ci sono, o sembra che ci siano meno donne e ragazze in questo mondo gravel, bikepacking e in generale nel mondo della bici.
Come prima cosa ti volevo chiedere di parlarci di My Family Bike, del percorso che stai facendo e un po’ di qual è la tua idea anche di viaggio.
Serena: Io sono una appassionata di bici, soprattutto di viaggi in bicicletta. Mi definisco una cicloturista pura in quanto la competizione non è mai entrata a far a parte della mia vita, e non ci è mai stata. É dal 2004 che io e Valerio, il mio compagno, e titolare di Ciclocentrico a Rivoli, facciamo viaggi in bici. Da quell’anno non abbiamo più viaggiato in altra maniera. Abbiamo trovato la comfort zone in questa tipologia di viaggio ed è stata un’evoluzione, fino a fare viaggi sempre più impegnativi come nel deserto del Gobi, in Mongolia. Oltre alla tipologia di bici e attrezzatura siamo evoluti anche noi, fino ad arrivare al bikepacking, che è la nostra scelta di modalità di viaggio. Nella nostra evoluzione sono entrate a far parte delle bambine, che sono Nicole e Chloe. Abbiamo iniziato a viaggiare con loro senza porci neanche la domanda se era giusto o sbagliato farlo, abbiamo pensato che era giusto condividere con loro la nostra passione e provarci.
Come dico sempre, siamo stati fortunati perché loro hanno sempre assecondato questa nostra passione e gli è piaciuta da subito. Tutte e due hanno risposto sempre in maniera positiva e quindi non ci siamo messi limiti e abbiamo continuato a viaggiare con loro, e adesso viaggiamo con loro in bikepacking.
Da lì è nata la mia idea di My Family Bike cioè il racconti sui social e anche un sito internet. Qui raccontiamo la nostra esperienza, essenzialmente per essere da esempio per le altre famiglie che magari non hanno il coraggio di fare questa scelta o comunque hanno paura di provare a fare un viaggio un po’ più avventuroso con i bambini, perché pensano che una volta arrivati i figli non si possa più fare quello che si faceva prima.
Noi in realtà abbiamo chiuso il cerchio e quando noi siamo in viaggio diciamo sempre abbiamo tutto quello di cui abbiamo bisogno dietro: tutta la famiglia, nostre bici e quindi My Family Bike è nato da questa cosa, un racconto essenzialmente di noi.
Bikepacking.it: Immagino che molte persone che hanno famiglie e bambini e bici vi contattino spesso. Secondo te qual è la prima cosa da affrontare in una pianificazione di un viaggio, se si è non solo tra adulti?
Serena: Da quando i bambini sono interattivi, vediamo che per noi è fondamentale decidere la meta. Parlarne con loro, coinvolgerli nella scelta, perché comunque deve essere qualcosa che a loro faccia piacere vedere: che ci siano delle attrazioni per loro, ci sia qualcosa che a loro interessi.
Ad esempio io ho il sogno di portarli in Mongolia perché mi sono innamorata di quella terra dieci anni fa, pero’ so che adesso non è il momento giusto perché loro magari non potrebbero cogliere ancora le meraviglie solo del paesaggio.
Due anni fa abbiamo fatto il viaggio da Helsinki e Rovaniemi con l’obiettivo di andare a trovare Babbo Natale, per loro è stata una cosa meravigliosa.Nel conquistarsi tappa dopo tappa l’arrivo da Santa Claus non ho mai sentito un lamento. Siamo arrivati lì e la prima cosa che han detto a Santa Claus è stata: “sai, noi siamo arrivati in bicicletta. siamo venuti da te in bici!”. La seconda è non farsi abbattere dalla logistica. Perché molte volte i viaggi in bici sono logisticamente un po’ più complicati. Soprattutto se devi prendere un aereo e devi smontare una bici o se devi affittarla o magari dove andare, questo può bloccare. Io come My Family Bike ogni tanto organizzo degli incontri tra queste famiglie che con cui sono venuta a contatto su Instagram e organizzo dei weekend vicino a casa per eliminare la parte della logistica, e far provare un’esperienza di micro viaggio. Questo per far capire che è talmente bello il divertimento e la condivisione, che alla fine magari supererò anche il problema della logistica.
Bikepacking.it: C’è una altra novità per te e per My Family Bike quest’anno, cioè che sei una la nuova ambassador di Liv. Ci vuoi parlare di Liv e anche del tuo ruolo cos farai?
Serena: A settembre ho ricevuto la chiamata, appunto da Marta della Liv e, oddio, diciamo che ci sono state tantissime emozioni tra cui un po’ l’incredulità, Perché in realtà quello che racconto poi sui social è proprio una quotidianità che non tocca l’animo della competizione,
Non sono un atleta, io amo andare in bicicletta, a volte supero anche i miei limiti e faccio cose che non farei però voglio sorridere. Per me la bicicletta è felicità, non sofferenza, non rinuncia, ma bellezza. Per questo quindi essere chiamato da un brand come Liv mi ha stupito. Conoscendo invece la sua filosofia, ho capito che siamo uguali, la pensiamo nella stessa maniera. Per loro una donna che segue la sua la propria passione è una donna da stimare e da far vedere. E quindi loro scelgono le ambassador proprio per questo no?
Scelgono le Ambassador in base a una un esempio da poter dare agli altri da poter seguire. E io sono in realtà l’esempio della normalità. Come una mamma può continuare a condividere la propria passione con la propria famiglia e con altre donne. E quindi io ho sposato veramente la filosofia della Liv.
Questa azienda produce solo per noi donne, ed è comunque un rischio. Perché, come abbiamo detto prima, le donne sono una nicchia. Sono una percentuale molto più bassa rispetto a quella degli uomini, e pensare che c’ è un’azienda che invece produce in base a come siamo fatte noi e ai nostri bisogni é meraviglioso. E in più ha come filosofia il fatto di dire donne: “Vi piace la bici? Non mollate. Fatelo. Pedalate, sorridete, siate felici”. Sono stata a Milano, nella sede Giant/ Liv e sembra di entrare essere in famiglia.
Mi è piaciuto molto. e quindi sono onorata di fare parte di Liv. Abbiamo un sacco di progetti: con loro sto mettendo su un gruppo che si chiama Ciclocentrico Pink, che sarà un’associazione dedicata solo ed esclusivamente alle donne dove abbiamo già iniziato a fare pedalate che sia chiamano Pink My Ride. Per esempio faremo faremo una serata con un mental coach per parlare delle emozioni che ci fa provare la bicicletta. quindi lunedì sera ci troveremo qua da ciclo eccentrico con un gruppo di donne ma non solo, perché alla fine per me la bici deve essere inclusione.
Liv mi sta permettendo di fare realizzare il mio sogno di mettere la bici al centro della mia vita e parlarne agli altri, pedalare con gli altri e condividere questa cosa.
Bikepacking.it: La particolarità di Liv, come dicevi tu, e che appunto è sia, all’interno della azienda, dei vari gruppi di lavoro, per la maggior parte o per la totalità formata da donne. Soprattutto, la progettazione dei telai è di tutta la attrezzatura è pensata per la fisionomia femminile. Una cosa a cui magari specialmente noi ciclisti maschi, o diciamo non donne, non pensa mai e che, come in realtà tutto quello che viene prodotto è pensato su una fisionomia, un corpo maschile o comunque non femminile. Come è stato il cambio, da una bici, sullo standard maschile aa una invece pensata espressamente sulla fisionomia femminile?
Serena: La cosa che è io cerco su una bici e il comfort, perché alla fine in un viaggio in bici uno ci sta anche dieci ore al giorno. Non cerco tanto la performance perché sono una cicloturista.
Io adesso ho la Liv Devote Advance, la loro grave in carbonio, e in realtà ho tutte e due le cose: la performance, perché il carbonio è veramente super reattivo. È una gravel veramente fluida, va senza che te ne accorgi.
In più è anche comoda perché, essendo studiata su di noi io sono stata subito a mio agio.
Abbiamo fatto una pedalata con delle donne usando delle bici fornite da Liv, dove son venute delle donne che non hanno mai pedalato e non avevano neanche un bici.
Nel giro di cinque minuti l’espressione di tutte è stata di stupore. “Ma è facilissimo!”, in tante hanno detto, “mi trovo benissimo!”. Questo perché studiando la bici sul nostro corpo i risultati si sentono.
Bikepacking.it: Tutte queste cose che abbiamo detto e si intrecciano, con il sottotesto di tutta questa chiacchierata cioè che sembra, oppure è così, che ci siano meno donne nel mondo dei viaggi e ancora prima diciamo a monte, nel mondo della bici, anche nel mondo gravel. Io mi sono fatto questa idea che ti lancio: uno dei problemi, oltre a quelli sociali strutturali, è anche quello della rappresentazione.
Finché, una persona non vede una persona come se che abbia delle caratteristiche simili fare una determinata cosa, non riuscirà a immaginarsi in quella cosa lì o comunque la barriera per arrivare a fare quella cosa, che nel nostro caso sono i viaggi in bici, sarà molto difficile. e questa è una cosa che , è appunto pervasiva. Nel mondo gravel, ma nel mondo bici in generale, perché come dicevi tu, il pubblico femminile viene percepito come una nicchia.
Negli anni, sui social e negli eventi come il Tuscany Trail, però si vede un aumento delle cicliste che partecipano.
Secondo te esiste questo problema della rappresentanza? Ci sono altre questioni che limitano l’accesso, o per iniziare ad andare in bici per donne e ragazze?
Serena: Secondo me la rappresentanza è molto importante. Se io guardo sui social le donne che vanno in bicicletta, il 90% sono ragazze che fanno agonismo e in bicicletta c’è pochissima rappresentanza di ragazze che semplicemente si divertono in un contesto non professionistico (divertendosi comunque!). Probabilmente se stiamo a guardare la popolazione totale, l’ 80% delle donne lo sport lo vede e lo può praticare come divertimento. Ma un po’ per il lavoro, un po’ per la famiglia, un po’ per le scelte di vita, farlo da professioniste è impegnativo. Quindi probabilmente tante non si ritrovano e non si rispecchiano, e dicono “Ma se io non potrò mai fare quella cosa lì, quindi non inizio neanche”.
Già l’avvento del gravel e dei trail, dove non c’è un classica ma solo dei finisher, si è tolta in parte la componente agonistica.
Secondo me a lungo andare, raccontando questa componente del mondo bici, le ragazze, si avvicineranno un po’ di più proprio perché più raggiungibile, più fattibile. Mi sono resa conto che tante ragazze non conoscono il gravel.
In Italia è la bici è ancora per tantissime bici da strada e l’esperienza collegata. In contemporanea il gravel è visto con una difficoltà tecnica maggiore per via dello sterrato e poco avvicinabile per principianti.
Una soluzione penso sia iniziare a creare rete, collaboriamo per esempio anche con le Bike Boobs e Liv, unire le persone e far capire loro che è fattibile fare un percorso per poi arrivare a fare il Tuscany, su più giorni, o altri eventi,
Mi immagino che per una persona principiante 600 km chilometri e 8000 metri di livello possano sembrare infattibili, ma facendo una pedalata insieme – dove da 0 fai 50 km facilmente – sia un modo per mostrare un modo diverso di ragionare l’esperienza del viaggio.
Io inizierò anche a fare delle notturne per far capire che anche di notte è bellissimo pedalare. Quindi io mi metterò in gioco e cercherò di creare questa rappresentanza sorridente per far capire che chiunque può entrare in questo mondo.
Bikepacking.it: Ti volevo fare questa domanda, un po’ provocatoria: perché ci dovrebbe interessare essere più inclusivi? Perché dovremmo pensare e “sforzarci” di tenere da conto di queste cose?
Serena: Le uscite Pink Bike che faccio le chiamo inclusive. Perché le faccio ad un livello diciamo basso, dove magari una forte si annoia, ma condivide l’esperienza con chi non ha mai fatto chilometri e già alla prima uscita deve superare i propri limiti. Io più che inclusione parlo di bici come condivisione, condivisione del sacrificio. condivisione di sofferenza, ma anche condivisione di attesa degli altri, condivisione di momenti belli. Quindi l’inclusione è più una condivisione di una felicità che a me la bici da e che voglio condividere.
Propongo un una pedalata a un livello medio o basso, in maniera tale che tutti arrivano col sorriso perché quella che va veloce quella giornata l’ha presa per stare con queste persone e aiutare queste ragazze che invece è la prima volta che vanno e cinquanta chilometri non l’hanno mai fatto in vita loro, e la prossima volta arriveranno a farne sessanta. Quindi inclusione mi piace come parola però non è che noi donne siamo ancora lì che ci dobbiamo includere: noi donne siamo presenti qui.
Io sono quindi sono più per la condivisione: un movimento italiano della bicicletta che ha voglia veramente di stare insieme, aspettarsi, se necessario, oppure spingere, trascinare le altre a superare i propri limiti. Questo questa è la mia idea di bici.