Valeria e Chris hanno trascorso 10 giorni in Kyrgyzstan, attraversando la catena montuosa di Tien Shan. Ecco il loro racconto:
Come raccontare un giretto in bicicletta in Kyrgyzstan? Non sapendo da dove cominciare, forse piu semplice rispondere alle domande più comuni, ecco qui una auto-intervista.
Perché il Kyrgyzstan?
Questa è la domanda che nelle settimane prima della partenza ci è stata posta decine di volte, di solito subito prima di “Dov’è il Kyrgyzstan?”. La risposta alla prima è semplice. Perchè no?
Qualche anno fa mi sono imbattuta in foto di quelle zone: distese immense disabitate, sterrati inifiniti, cavalli selvaggi, popoli nomadi che vivono in yurte in ambienti molto inospitali.
Sembrava proprio uno di quei viaggi che permette di attraversare posti bellissimi e conoscere una cultura nuova, che aiuta a ridefinire quello che chiamiamo “normale”.
In numeri
Giorni: 10
Km percorsi: 540
Dislivello positivo: 6220 m
Altitudine massima: 4000 m slm

Che bici e borse avete usato?
Io (Valeria) una Salsa Fargo, con forcella rigida e copertoni tubeless 29×2.2 (Maxxis e Shwalbe).
Borsa sottosella (20L) e framebag Missgrape.
Borsa al manubrio (20L) e borsetta per borraccia Alpkit.
Alla forcella Salsa Anything cage e Gorilla cage con sacche a tenuta stagna “Sea to summit” da 7 litri.
Top tube bag da Rhinowalk.
Chris ha usato una Cube reaction SL 29, copertoni 29×2.25 (racing Ralph e rocket ron).
Borsa sottosella Apidura expedition (17L), frame bag da PlanetX.
Al manubrio Salsa exp Anything cradle con borsa stagna Ortlieb. Tailfin suspension fork mount con cargo cage x3, una sacca stagna “Sea to summit” e due “Revelate design polecat”.
Top tube bag and 2 borse porta boraccia da manubrio da Rhinowalk.
Che preparazione è servita?
Da un punto di vista tecnico, non ci siamo preparati molto. Abbiamo deciso di partire un mesetto prima del viaggio! Non siamo super allenati, ma siamo di certo determinati, che forse è anche più importante! In più abbiamo scelto di fare tappe gestibili, in modo da riuscire a completarle ogni giorno avendo anche tempo di goderci il paesaggio e interagire con le persone locali.
Per gli altri aspetti del viaggio, sono servite alcune vaccinazioni (non obbligatorie), qualche medicinale, revisione della bici, e via! La preparazione piu importante è stata di sicuro lo studio del percorso. Abbiamo studiato le mappe (komoot, GoogleEarth) per capire dislivelli, sterrati, accesso ad acqua, presenza di villaggi etc. E poi abbiamo letto qualsisi racconto di viaggio di persone che sono andate in quelle zone.
Prima di partire che difficoltà vi aspettavate?
Sulla carta, erano due le cose che ci preoccupavano maggiormente.
1) Sfiorare i 4000 metri di altitudine nei primi due giorni in bici, senza aver tempo per acclimatarci abbastanza, ed essere esposti a temperature molto rigide. In realtá, seppure il nostro respiro fosse molto affaticato dall’aria rarefatta, l’altitudine non ci ha creato molti problemi, e con la temperature siamo stati fortunatissimi, di notte non è mai scesa sotto lo zero!
2) Dover essere autosufficienti per 5 giorni: saremmo stati in grado di portarci 5 giorni di cibo? E se si fosse rotto qualcosa? In realtá di cibo ne avevamo probabilmente per 8 giorni, fonti di acqua ce ne sono ovunque, le nostre power bank erano più che abbastanza, e nonostante le zone fossero molto remote abbiamo incontrato qualcuno ogni giorno: ragazzi a cavallo, bambini che ci volevano portare a bere il the nelle loro yurte, a volte anche turisti in 4X4. Se avessimo avuto qualche problema serio, avremmo sicuramente trovato un modo per tornare alla capitale.
Il Kyrgyzstan è il paese ideale per viaggiare in zone remote ma senza troppo stress.

Quali sono stati nella realtá gli aspetti più difficili?
Abbiamo iniziato a pedalare a circa 5 ore di macchina dalla capitale. Ci siamo spostati in automobile e quelle 5 ore sono state la parte più paurosa dell’intero viaggio. Velocitá assurde, strade sterrate, traffico importante, cellulare alla guida, niente cinture di sicurezza.
Un altro momento di difficoltá si è presentato a metá viaggio, quando Chris ha preso un’insolazione (eravamo pronti per il freddo, ma non per il troppo caldo!) e lo stesso giorno il mio copertone davanti ha sviluppato un’ernia gigante. Pensavo fosse davvero la fine dell’avventura. Invece Chris il giorno dopo si è ripreso, e incredibilmente il mio copertone ha tenuto fino alla fine (dopo aver inserito una camera d’aria, e aver ovviamente forato ogni giorno!).
Cosa ha reso il viaggio speciale?
Le vallate immense, le mandrie di cavalli e yak selvaggi, le aquile che si alzavano in volo davanti a noi, le catene montuose di ogni colore e forma.
Imparare a conoscere la cultura nomade della gente del posto, essere sommersi dalla loro accoglienza. I bambini che salutano a bordo della strada, quelli che hanno voluto provare le nostre bici, e quelli che c’hanno invitati a salire sui loro cavalli.
Gli altri ciclisti che abbiamo incontrato, dai pazzi professionisti della Silk Road Mountain Race, ai ragazzi giovani su bici improvvisate che tanto “se si rompono non importa che tanto sono vecchie”.
Fare il bagno a Song Kul a 3100 metri, nell’acqua fredda ma limpidissima. La bellezza delle yurte, piccoli puntini accoglienti in un panorama immenso ed insopitale: la loro semplicitá e resilienza esterna, in contrasto al loro interno, così decorato e ricco.
Essere svegliati nel mezzo della notte dai cavalli che attraversano il fiume di fianco alla nostra tenda.
Ed infine l’infinito, profondo, ed inspiegabile cielo stellato.
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